Late For The Sky : Pasar Klewer’s review in Italy
A poco meno di un anno dall’uscita del suo primo disco per la label newyorchese riecco il pianista indonesiano Dwiki Dharmawan, alle prese con un progetto ancor più ambizioso, poliedrico e senza dubbio riuscito. Stavolta al banco di regia al fianco di Dharmawan troviamo nientemeno che il titolare della casa discografica Leonardo Pavkovic, solitamente produttore esecutivo, che qui ci mette del suo per garantire la riuscita di un disco davvero efficace; c’è poi il chitarrista britannico Mark Wingfield che oltre a suon are la sua sei corde elettrica si occupa anche del missaggio e del mastering dio questo doppio CD.
Rispetto al disco precedente, in cui spadroneggiava il Fender Rhodes del titolare, qui Dharmawan preferisce cimentarsi col piano acustico, assemblando una decina di brani tutti piuttosto lunghi in cui inserisce anche molti elementi della musica tradizionale del suo paese, ampiamente esplorata dal catalogo Moonjune grazie alle produzioni di altri connazionali del pianista: ecco quindi fare capolino, tra la scioltezza del pianoforte e la sezione ritmica, strumenti della tradizione e temi tradizionali appositamente riarrangiati da Dwiki.
Ma la genialità di Pavkovic in sede di produzione emerge dalla scelta dei comprimari, tutti abitué della sua casa discografica ma mai usati per altre produzioni con artisti indonesiani accasati presso la Moonjune: così oltre al citato Wingfield, troviamo la sezione ritmica che lo accompagna solitamente, il bassista Yaron Stavi ed il batterista Asaf Sirklis, entrambi israeliani, come il clarinettista Gilad Atzmon, presente anch’egli nelle registrazioni, che si sono tenute a Londra nell’estate del 2015. A far sembrare il gruppo come una sorta di Moonjune Records Allstar Band troviamo poi il chitarrista Nicholas Meier e il cantante Boris Savoldelli. In definitiva un dispiegamento di forze che non poteva di certo fallire l’obiettivo. Il progetto è senza dubbio ambizioso, ma alla fine i risultati ci sono, eccome: dopo la lunga composizione che titola il disco con il piano ovviamente in evidenza e la bella chitarra di Wingfield, troviamo Spirit Of Peace in cui gli elementi etnici si sposano con le acrobazie della sezione ritmica e col clarinetto di Atzmon che inserisce atmosfere proprie della cultura musicale ebraica mitteleuropea a lui familiare. Caposaldo del primo dischetto è probabilmente la versione di Forest, un brano che porta la firma di Robert Wyatt, uno dei grandi amori musicali, forse il più grande, di Pavkovic, che da bravo produttore lo affida all’ispirazione di Dharmawan e alle corde vocali dell’ineguagliabile Boris che ne offre un a versione jazz-blues impeccabile con una bella chitarra elettrica di Wingfield. E lo zampino di Wyatt fa capolino anche nella breve improvvisazione di London In June, che si sviluppa proprio prendendo il la dal tema del brano di Wyatt a cui la label deve il proprio nome.
Sul secondo disco Dharmawan – non dimentichiamo che il titolare è sempre lui – rilegge Lir Ilir, un brano tradizionale e una composizione di Benny Corda intitolata Bubuy Bulan, particolarmente riuscita è la sua composizione originale Frog Dance, con la chitarra acustica di Meier, mentre Life Its Self, composta dal batterista è decisamente molto free e permette a tutto il gruppo virtuosismi e acrobazie, con Wingfield e la sua sei corde decisamente a ruota libera. Gran finale con Purnama intensa e struggente ballata pianistica con di nuovo Meier all’acustica, che pur staccandosi dal contesto generale del progetto conferma la statura dell’autore e dei suoi comprimari conquistandosi la palma come uno dei brani più riusciti del disco. La chiusura è affidata ad una versione strumentale della Forest che avevamo trovato sul primo dischetto, non c’è la voce di Savoldelli qui, ma lo spessore dell’esecuzione rimane.
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